giovedì 6 ottobre 2011

"Gli ultimi maestri dello shomingeki"di M. R. Novielli - Tratto da "Storia del cinema giapponese", 2001





"Il mondo poetico di Naruse viene spesso rapportato per intensità di toni alle opere di Mizoguchi e di Ozu. Dei tre, tuttavia, è sicuramente stato l'autore dai toni più pessimistici, quello che ha concesso meno speranze ai propri personaggi.
Non tutte le sue pellicole del primo dopoguerra si possono definire pienamente riuscite, in molti casi si trattava di film realizzati con non molta convinzione per sbarcare il lunario, ma quando gli era possibile dare il meglio di sé, superando i limiti del suo essere schivo e poco incline a dirigere un intero staff sul set, Naruse otteneva dei veri capolavori, tra i più alti risultati del periodo. E in particolare a partire dal 1951 che i suoi film raggiunsero l'apice qualitativo: riproponendo, tra i primi nel dopoguerra, le istanze proprie dello shomingeki degli anni trenta, il regista si riconfermò sensibile artigiano di atmosfere lette tra le righe, offerte dal minimo artificio possibile, tessute tra sguardi, di dialoghi in cui mai una parola risulta sprecata, e soprattutto di un uso particolare della macchina da presa, impercettibilmente agile nel cogliere i vari angoli della scena, in immagini poi montate con rapido ritmo. Resta invariata la preferenza dell'autore per i personaggi femminili che popolano i livelli meno fortunati della società o che sono stati catapultati al di fuori del normale vivere sociale (vedove, per esempio) e lasciati soli a provvedere a se stessi e alla loro famiglia, eroine dal destino irrimediabilmente segnato dalla cattiva sorte che pure lottano strenuamente per usufruire appieno del proprio diritto di esistere. Gli interessa anche l'ambiente preferito dello shomingeki, quello degli impiegati: "Il pasto" (Meshi, 1951) illustra la crisi coniugale tra un impiegato e sua moglie, ma termina con la constatazione da parte dei due protagonisti, soprattutto della donna (interpretata da Hara Setsuko) che tra i due è stata quella che più ha sperato in una possibilità di cambiamento, che la vita tutto sommato non riserva nulla di meglio, e che in fondo quel minimo di stima reciproca che li legava e il fatto stesso di non essere soli possa costituire una fortuna, che felicità può significare quei piccoli momenti sereni prima disprezzati.
Ancora sul mondo che conosce meglio, quello della famiglia che rotea intorno a un'immagine femminile, Naruse realizzò nel 1952 "Madre" (Okasan), storia di una vedova che porta avanti con ostinazione la propria famiglia nonostante le avversità, e, nello stesso anno, il secondo adattamento dopo "Il pasto" da un'opera della scrittrice Hayashi Fumiko, "Il lampo" (Inazuma), opera con cui si conferma l'ideale unione tra i due artisti. Naruse vi esplora il particolare legame tra quattro fratelli, figli di padri differenti, e la loro madre. La più giovane dei quattro incarna la donna-tipo di Naruse, quella che tenta — senza successo — di dare una svolta al proprio destino. Come sempre, tutto ci viene offerto sottovoce, non prospettato in un vero centro drammatico, ma reso dall'effetto di una quotidiana sciarada di sentimenti inespressi, soffocati dall'impossibilità di opporsi appieno a ciò che nasce con i personaggi e che li segue fino all'ultimo dei loro giorni. La descrizione, nello stile che già l'autore aveva utilizzato prima della guerra, arriva a toccare l'animo senza mai voler porre la distanza del pietismo tra gli spettatori e questi personaggi.
Le relazioni tra fratelli di "Fratello e sorella" (Ani imoto), tra coniugi in "Marito e moglie" (Fufu) e "Moglie" (Tsuma), tutti realizzati nel 1953, sono altri capitoli importanti dedicati al microcosmo familiare. Così come l'attenzione al mondo delle geisha, già esplorato in "Dopo la nostra separazione" nel 1933, viene riproposto in una sinfonia di sottotoni nel film "Tardi crisantemi" (Bangiku, 1954), nuova trasposizione da un'opera di Hayashi Fumiko, e in "Fluttuare" (Nagareru, 1956). L'opera di Naruse più nota è tuttavia "Nubi fluttuanti" (Ukigumo, 1955, da un soggetto di Hayashi Fumiko), un toccante ritratto psicologico di una donna forte e del suo rapporto infelice con un uomo debole nell'immediato dopoguerra. La relazione tra i due — l'uomo è già sposato — ha avuto inizio nel corso della guerra e si trascina grazie all'ostinazione della donna che continua a restargli accanto anche quando lui la tradisce e lo segue in un'isola distante nonostante sia malata. La morte di lei posta in chiusura della storia avviene in solitudine e senza che abbia raggiunto il suo scopo, un finale coerente con il pessimistico e sempre infelice epilogo dei film di Naruse. La morte narrata pacatamente illustra il tono dei sentimenti della donna, mai gridati, sempre espressi da impercettibili gesti ed echi lontani intuibili appena dalle sue parole.
Molti titoli della filmografia di Naruse, come "Nubi fluttuanti", scelgono un'immagine della natura come contrappunto allo stato d'animo dei personaggi: della coppia in "Pioggia improvvisa" (Shu-u, 1956), della giovane donna in "Cirrocumuli" (Iwashigumo, 1958), e tanti altri fino all'ultimo "Nubi sparpagliate" (Midaregumo, 1967). Molte sono, infine, le trasposizioni da note opere letterarie, non solo quelle originariamente firmate da Hayashi Fumiko, ma anche da noti autori degli stessi anni, di cui citiamo "Okuni e Gohei" (Okuni to Gohei, 1952) dall'opera di Tanizaki Jun'ichiro, raro esempio di film in costume tra quelli realizzati dal regista, e "Il suono della montagna" (Yama no oto, 1954) dal bel romanzo di Kawabata Yasunari."

Tratto da "Storia del cinema giapponese" di Maria Roberta Novielli, Ed. Marsilio 2001.

Nessun commento:

Posta un commento