giovedì 22 settembre 2011

"Intimismo e poesia: il wabi nel cinema di Naruse Mikio" - Tratto da "Storia del cinema giapponese" di M. R. Novielli, 2001

" Con il termine wabi (di difficile resa in altre lingue) i giapponesi connotano la serenità insita nella semplicità, la raffinatezza del non elaborato, l'austerità che rasenta la povertà: il fascino che ne scaturisce permea in modo indefinibile certe atmosfere. Il regista Naruse Mikio ha ritratto invece un mondo infuso del senso di un wabi stranamente pessimistico e irrimediabile, attraverso personaggi per i quali l'aspirazione alla felicità è un sentimento dai toni sbiaditi e sempre disilluso, costretti a un'accettazione passiva di quel poco che la vita offre loro. La stessa storia personale del regista ne era espressione: nell'anteguerra le sue esperienze individuali furono decisamente sfortunate. Dagli anni cinquanta Naruse è stato riconosciuto come uno dei maestri del cinema nipponico, eppure a tutt'oggi la sua opera non è ancora sufficientemente valutata all'estero, nonostante l'elevatezza artistica non sia inferiore a quella di registi del calibro di Mizoguchi e Ozu.
Nato nel 1905 a Tokyo, perse i genitori quand'era poco più che adolescente. Aveva dovuto anche abbandonare gli studi per lavorare, ma non per questo rinunciò alla sua grande passione per la letteratura, e quotidianamente si recava in biblioteca per divorare romanzi. Venne assunto alla Shochiku, dapprima come attrezzista e factotum, poi come sceneggiatore e aiuto regista. Sempre schivo, timido e solitario, Naruse perdeva ogni occasione per imporsi nella gerarchia della major, e per questo continuava nelle sue modeste mansioni mentre altri giovani assunti dopo di lui come Ozu, Gosho e Shimizu già erano diventati registi. Solo nel 1930 Kido Shiro permise a Naruse di girare un film basato su una sua sceneggiatura e che fu poi montato da Gosho: I coniugi Chanbara (Chanbara fufu), in sole due bobine e realizzato in trentasei ore. Il film successivo, Innocenza (Junjo, 1930) sorprese per la sua carica lirica, e furono in molti ad apprezzarlo, tra cui Ozu secondo il quale si era rivelato il genio di un maestro, ma non per questo la strada verso il successo si era spianata. Naruse dovette infatti continuare a girare slap stick e melodrammi; ogni sua proposta differente da quelle abituali della major veniva stroncata dal direttore della Shochiku, a cui il regista non piaceva. Infine, dopo aver realizzato In bocca al lupo, piccolo salariato (Koshiben ganbare, 1931, il primo dei suoi film oggi esistenti), uno shomingeki descritto con una profonda sensibilità verso i sentimenti, Kido lo riprese dicendogli: «qui non abbiamo bisogno di due Ozu».
Nonostante l'avversione di Kido, nel 1933 Naruse sceneggiò e realizzò un film che anticipava varie caratteristiche della sua tecnica futura, Dopo la nostra separazione (Kimi to wakarete), su un soggetto originale dello scrittore Kikuchi Kan. È la storia di una vedova che lavora come geisha per mantenere suo figlio, che però la detesta per la sua professione e diventa un mezzo delinquente. Il figlio si innamora poi di una giovane geisha che gli dimostra quanto sia stata difficile la scelta della madre, e che lo porta con sé al suo paese natale dove il padre, amante dell'alcol, sta per vendere come geisha anche la sorella minore. In questo film emergono le figure femminili che predomineranno in tutto il cinema di Naruse: donne descritte con delicatezza ma decise, indipendenti e coscienti dell'impossibilità di essere felici.
La donna è anche il personaggio principale di Sogni di una notte (Yogoto no yume, 1933), in cui la protagonista, sola con il figlio, è costretta a prostituirsi, finché ritorna da lei il marito che si ripromette di cercare lavoro per mantenere la famiglia. Ma l'uomo non riesce nel suo intento e fallisce anche come ladro, dopodiché si suicida, costringendo la moglie a ricominciare a prostituirsi. In questi due film Naruse abbozza quella che sarà la sua particolare matrice registica: rifiuta il superfluo, l'appariscente e ciò che è in grado di autodenotarsi nella scena. Non elabora piani di ripresa complessi, ma preferisce che la macchina da presa agisca pacatamente, con pochi movimenti vivacizzati in questo periodo da un montaggio rapido, in un ambiente calmo in cui la drammatizzazione resta soffocata. Dei personaggi, come degli oggetti, dipinge il wabi, nel loro caso una solitudine dietro la quale si nasconde un profondo turbamento interiorizzato, intuibile solo tra le righe. Nell'atmosfera pessimistica in cui si muovono, questi personaggi sono tanto tenaci da non rassegnarsi mai, e hanno una forte dignità che rifiuta gli autopietismi.
Lasciata finalmente la Shochiku, Naruse firmò un contratto con la PCL e ne diventò in breve il più importante autore. La sua vita migliorò qualitativamente: dopo il successo dei primi film Tre sorelle dal cuore di serve (Otome gokoro sannin shimai, 1935) e Moglie, sii come una rosa (Tsuma yo, bara no yo ni, 1935), abbandonò la squallida stanza in affitto e le lunghe giornate dedite all'alcol e senza denaro, sposò l'attrice Chiba Sachiko, protagonista del secondo film, da cui ebbe anche un figlio, e si trasferì in un lussuoso appartamento. Adattato dal racconto Asakusa no shimai di Kawabata Yasunari, Tre sorelle dal cuore di serve era il suo primo film sonoro. Registrò un grande successo grazie all'abilità di Naruse, un autentico edokko, nel ritrarre l'atmosfera della downtown di Tokyo. Ma è in particolare con Moglie, sii come una rosa che l'opera del regista ottenne la massima consacrazione [NOTA: Primo premio nella classifica annuale dei "Best Ten" della rivista Kinema Junpo, il film, con il titolo Kimiko, fu persino presentato a New York nel 1937]. Adattato dal romanzo Le due mogli (Futari tsuma) di Nakano Minoru, tra i film realizzati da Naruse fino a questo momento è il meno melodrammatico, oltre che quello in cui meglio delinea le caratteristiche della media borghesia. È la storia di una giovane che vive con la madre (una poetessa immersa in un ovattato mondo di cultura) che scopre nella nuova moglie del padre una persona sensibile, positiva, affettuosa. In questo film, i dialoghi rarefatti si inseriscono in una ricca tessitura di piccoli movimenti attraverso i quali viene creata l'atmosfera, gli sguardi si sostituiscono spesso alle parole nel descrivere i legami tra i personaggi. A differenza di Ozu che dirigeva nel dettaglio i suoi attori, Naruse lavorava "nell'ombra", intervenendo con tagli o particolari angoli di ripresa sulla loro recitazione, seguendo un disegno che non era noto a nessuno di quelli che lavoravano nel suo staff [NOTA: È diventato aneddotico questo suo ermetismo: pare che i suoi collaboratori non sapessero neanche se una scena lo avesse soddisfatto o meno]. Il periodo fortunato di Naruse non durò a lungo. Alcuni critici hanno sostenuto che il matrimonio aveva impoverito la sua vena poetica, e in effetti pochi film degli anni che seguirono riuscirono a raggiungere alti livelli. Nel 1942 divorziò dalla moglie e ritornò alla vita solitaria e irregolare di prima. Un periodo infelice durante il quale realizzò comunque un altro film importante, Tutta la famiglia lavora (Hataraku ikka, 1939), basato su un romanzo di Tokunaga Sunao. Siamo negli anni dei film di politica nazionale, e il soggetto dell'opera rientra a buon diritto in questo genere, almeno per la visione sociale del problema del lavoro che già il titolo suggerisce. Tuttavia, Naruse lo rende per lo più un racconto della vita quotidiana di questa povera e numerosa famiglia in cui tutti sono costretti a lavorare, compresi gli anziani e i figli più giovani. Un giorno il figlio maggiore annuncia al padre di voler continuare gli studi e che quindi i soldi ricavati dal suo lavoro serviranno al proprio mantenimento. Da questo scaturisce la crisi che è soggetto del film: il padre teme non solo le difficoltà economiche che lo stipendio in meno creerebbe, ma che anche gli altri figli possano seguire le orme del maggiore. È evidente l'impronta autobiografica (Naruse aveva dovuto cominciare a lavorare a soli quindici anni) e la partecipazione del regista alla situazione. "Dimenticando" di sottolineare con enfasi l'abnegazione di questi personaggi che lavorano per il bene dell'unità familiare (cioè il governo), nelle mani di Naruse non ci appaiono né come eroi né come antieroi. Non sono vittime di un vero dramma né di alcuna situazione che li glorifichi, questo perché nulla ha bisogno di accadere del tutto (il film non mostra se il figlio va davvero a studiare o no): sono solo in preda a un vago senso di impotenza perché posti di fronte a un piccolo problema dell'esistenza. Possiamo considerare questo primo periodo come un prologo alla grande opera di Naruse degli anni cinquanta, in particolare delle sue note trasposizioni dai romanzi della scrittrice Hayashi Fumiko, poiché il dopoguerra, con tutti i disagi esistenziali, trovò in lui uno dei più sensibili poeti. "

Tratto da "Storia del cinema giapponese" di Maria Roberta Novielli, Ed. Marsilio 2001.

1 commento:

  1. Salve, sono un appassionato di cinema giapponese, e dopo avere raccolto le serie di films di Kurosawa, Mizoguchi, Ozu o iniziato da poco con Naruse, che ho conosciuto proprio ieri con l'ultimo suo film del 1967, che ho trovato bellissimo. In realtà avevo iniziato a vedere qualche giorno fa Quando una donna sale le scale, ma non mi era piaciuto e dopo un pò avevo smesso di guardarlo e cestinato. Va detto che ero nel pieno del periodo di Ozu, quindi l'atmosfera era un pò diversa. Ma adesso ho messo a scaricare tutto quello che ho potuto trovare di Naruse.
    Comunque in breve, ho scoperto questo tuo bel sito dedicato al grande maestro e ti volevo fare davvero tanti complimenti di cuore per tutte le preziose note e gli spunti che contiene.
    Grazie ancora e un saluto da Luca Baldanzi.

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